Self-Publishing: liberté, egualité, fraternité – Workshop 12
Domenica scorsa ho concluso la prima puntata delle mie riflessioni sul self-publishing affermando che, a quanto ho visto da testimonianze e scritti altrui, per molti autori c’è una sostanziale equivalenza tra self-publishing e libertà.
Una concetto che, in qualsiasi ambito venga usato (politica, commercio, arte, filosofia, finanza), dovrebbe presupporne altre due: diritti e doveri. La libertà a volte è un dono, altre volte una conquista, in entrambi i casi qualcosa di meraviglioso ma impegnativo. Va mantenuta, va meritata. Se non la sai gestire con cura e determinazione, ne paghi le conseguenze. Ci sono questioni etiche da prestabilire (sto sempre parlando di persone serie, non di vanitosi dilettanti). Va chiarita l’attitudine con cui affrontare il lavoro di autore indie, puntando sulla lunga distanza ed evitando le scorciatoie. Ed evitando un atteggiamento inutilmente polemico nei confronti dell’editoria tradizionale, come se fosse il Babau da cui tutti dovrebbero fuggire a prescindere.
È un discorso teorico: potresti trovarlo inutile e ridondante. La mia opinione è che senza arrivare al fondo di questo tema non si può fare nemmeno il resto (la Rivoluzione Francese è stata fatta prima con grandi ideali, poi con la presa della Bastiglia), motivo per cui questo post insiste sull’argomento, presentando alcune testimonianze. Una chiaramente a favore del self-publishing, una dai toni pacati, una sinceramente grata all’editoria tradizionale. Se ti interessa che io dica la mia sugli aspetti pratici di cui occuparsi nella creazione di un self-libro, dovrai aspettare domenica prossima (sempre che nel frattempo il NaNoWriMo non mi sfinisca).
Inizierei con questo manifesto per autori self redatto un paio di mesi fa da Orna Ross, fondatrice della Alliance of Independent Authors (la traduzione è mia, il testo originale si trova a questo link):
Io sottoscritta dichiaro quanto segue:
Non mi tirerò mai indietro davanti alle migliori possibilità di pubblicazione per gli autori e non permetterò all’industria editoriale di tirarsi indietro dalle sue responsabilità verso scrittori e lettori.
Intendo pubblicare i libri migliori di cui sia capace. Prima imparando come arrivare a standard professionali per quel che riguarda editing e design, formattazione e produzione, poi pensando a come posso estendere ancora i miei limiti da un punto di vista creativo. Nel fare del mio meglio, mi do il permesso di commettere degli errori, di fallire, di riprovare e “fallire meglio”.
Pubblico in tutti i formati e le piattaforme possibili, a vantaggio mio e per il bene dell’industria editoriale nel suo complesso.
Riconosco che il successo dell’autopubblicazione dipende dal digitale, e che le tecnologie di print-on-demand e di distribuzione libraria non permettono ancora agli autori self di prosperare sul cartaceo (eccetto forse nel caso di edizioni speciali, vendute online direttamente dall’autore). Quindi mi concentro in primo luogo sugli ebook e in secondo luogo sugli audiobook, fino al momento in cui le tecnologie di stampa e distribuzione potranno rendere agli autori self un servizio migliore. Per adesso ritengo che la stampa vada considerata una sorta di diritto secondario.
Non chiedo a nessuno né il permesso di pubblicare, né una pacca sulla spalla, né un contratto che insulti le mie competenze e il pubblico che mi segue. Piuttosto, mi pongo delle domande su come l’editoria a pagamento e gli editori tradizionali possano meglio supportare gli autori e servire i lettori.
Riconosco di essere più elastica, e vicina al lettore, di qualsiasi altro soggetto nell’editoria. Capisco che ciò mi da più potere di quanto ne abbia qualsiasi altro operatore del settore (ammesso che io lo voglia). Posso permettermi di essere magnanima con chi si sente minacciato dal self-publishing. Posso permettermi, più di chiunque altro, di ripensare il “libro”, cosa significa “pubblicare” ed essere un “editore”.
Sono orgogliosa del mio stato di autrice self-published.
Porto con me questo orgoglio nei miei rapporti con gli altri professionisti dell’editoria, per il bene mio, degli altri autori e dei nostri lettori.
Ti dico la verità: lo trovo un programma orgoglioso ma anche polemico, soprattutto riguardo al rapporto con le edizioni cartacee dei libri autopubblicati e all’avere in mano tutto questo “potere”. Ma ha di buono che si impone di fare sempre del proprio meglio, tenta di superare il complesso di inferiorità degli autori self rispetto a quelli tradizionalmente pubblicati e impone rispetto e collaborazione con altri autori, i quali vanno considerati prima alleati che concorrenti.
Non è un caso che sempre dalla Alliance of Independent Authors arrivi la campagna Ethical Author, alla quale ho aderito con molta convinzione. Puoi leggere il suo manifesto tradotto da me in questo post del mio blog, oppure l’originale inglese sul sito ufficiale dell’iniziativa. È in sostanza una serie di indicazioni sul comportamento eticamente corretto che ciascuno dovrebbe mantenere in ogni ambito della sua attività di autore/imprenditore: cortesia, responsabilità, onestà verso i lettori e verso gli altri autori.
[Faccio una digressione: chi non ama il self-publishing spesso accusa più o meno velatamente gli autori self di cedere alle lusinghe della vanità. “Nessun editore mi vuole? E io faccio da sola così posso dire di avere un libro pubblicato, tiè.”
D’accordo. Ci può stare. Non vale per le persone serie, vale sicuramente per i tanti dilettanti allo sbaraglio attirati dal facile accesso all’autopubblicazione. Eppure la vanità ha tante declinazioni, e se una di queste l’abbiamo appena letta, l’altra è proprio il suo opposto: “Un editore mi ha scelta! Pubblico con un editore e questo dimostra che sono brava.”
Considerata la mole di libri-monnezza regolarmente pubblicati da case editrici piccole e grandi, mi permetto di dubitare che in questa affermazione ci sia del vero. Fine della digressione.]
Adesso invece leggi questo dodecalogo e dimmi se non ti sembra l’ennesimo manifesto di un’autrice self-published che mette in chiaro la sua etica professionale:
1 – Prometto di essere onesta, coraggiosa e sincera; ma soprattutto di essere fedele a me stessa – perché cercare di essere fedeli a qualcun altro non solo è impossibile, ma è sintomo di uno scrittore pauroso.
2 – Prometto di non svendermi mai – nemmeno se fossi tu a chiedermelo.
3 – Quello che scrivo non potrà piacerti ogni volta, ma sappi che è sempre stato il meglio che io potessi fare in quel momento.
4 – Sappi che a volte ti sfiderò e ti tirerò fuori dalla tua zona di sicurezza, perché è così che impariamo e cresciamo. Non posso prometterti che ti sentirai sempre al sicuro e a tuo agio – ma ci sentiremo a disagio insieme.
5 – Prometto di seguire la mia storia dovunque mi conduca, anche nei luoghi più oscuri.
6 – Non limiterò il mio pubblico a una sola tipologia o a un solo settore demografico. Le storie sono per tutti, e tutti qui sono i benvenuti.
7 – Inserirò persone di tutti i generi nelle mie storie, perché le persone cono infinitamente affascinanti e diverse.
8 – Prometto che non mi tirerò mai indietro dal provare qualcosa di diverso e nuovo – anche se le cose che proverò non sempre avranno successo.
9 – Non lascerò che nessuno decida cosa dovrei scrivere o come – non il mercato, non i miei editori, non il mio agente, nemmeno te lettore. A anche se a volte cerchi di farmi agire diversamente, in realtà non credo che tu voglia.
10 – Prometto di non essere distante quando vorrai avvicinarti a me – sui social media o anche nel mondo reale. Ma ricorda che anche io sono umana e in certi giorni sono impaziente, o stanca, o semplicemente ho esaurito il tempo.
11 – Prometto di non dimenticare quanto devo ai miei lettori. Senza di voi, io sono solo un mucchio di parole su una pagina. Insieme, creiamo un dialogo.
12 – In fin dei conti, è tua la scelta se seguirmi o meno. Io tengo la porta aperta per te. Ma non potrò mai biasimarti se scegli di non entrare.
Hai ragione, al punto 9 parla dei suoi editori: non è una che si autopubblica. Ma toni e contenuti non assomigliano a quelli dell’Ethical Author? Invece si tratta nientemeno che di Joanne Harris (l’autrice di Chocolat, Blackberry Wine, Gentlemen & Players e non so quanti altri romanzi – tra cui il poco noto Holy Fools che a me è piaciuto tanto), a cui era stato chiesto un intervento per The National Conversation, un dibattito sui rapporti in continuo cambiamento fra autori e lettori. Puoi leggere qui il testo completo dell’intervento di Joanne (in inglese).
Morale: autopubblicarsi non è una specie di Paese dei Balocchi in cui ciascuno fa quello che gli pare senza conseguenze. Le orecchie da ciuco sono in agguato. Ci sono delle condizioni. Lavorare in modo serio e rispettoso serve non solo a noi stessi ma anche alle altre persone che lavorano in modo serio, cosicché l’ambiente del self-publishing in generale sviluppi anticorpi contro l’orda dei dilettanti allo sbaraglio. Alcune condizioni sono obbligatorie, altre facoltative ma comunque opportune. Più che opportune. Importantissime. Insomma quasi obbligatorie pure loro.
Infatti, se il libro fosse pubblicato tradizionalmente, sarebbe soggetto a svariati passaggi di lavorazione. Vediamo per esempio come è andata con il libro di Anja De Jager, scrittrice e blogger che predilige la pubblicazione tradizionale e il cui romanzo d’esordio A Cold Death in Amsterdam, pubblicato da Little, Brown, vedrà la luce fra pochi giorni. Con il permesso di Anja (che ringrazio), ti propongo la mia traduzione dei punti salienti di due post del suo blog (per chi vuole leggerli in lingua originale: “What has my publisher done for me”, parte prima e parte seconda), in cui ha raccontato la sua esperienza.
Cosa il mio editore ha fatto per me – parte prima
Il primo, grande cambiamento è avvenuto prima ancora di firmare il contratto. A loro non piaceva il mio titolo (no, non intendo rivelarvi quale fosse). Tramite il mio agente, hanno discusso via email una serie di parole adatte e alla fine hanno proposto A Cold Death in Amsterdam. All’inizio non ero convinta, il libro aveva avuto un altro titolo per tanto di quel tempo, ma poi mi sono resa conto di quanto fosse perfetto per la storia che stavo raccontando.
Col suo nuovo titolo, il libro è stato girato a un editor. […] Quando ho visto quanti segni c’erano su ogni pagina (vedi foto), ho dovuto fare un bel respiro e aspettare un giorno prima di poter esaminare adeguatamente i suoi suggerimenti.
[…] Mi sono resa conto che la maggior parte dei suggerimenti aveva senso. Anzi mi sarei presa a calci per aver trascurato alcune delle cose che l’editor mi faceva notare, ad esempio ripetizioni di parole nello stesso capoverso. Ho anche avuto l’impressione che il libro le fosse piaciuto. In alcuni punti, mi poneva delle domande legate alla trama, quindi ho aggiunto del materiale in modo da essere certa che fosse tutto chiaro. […]
Qualche settimana dopo, i primi di dicembre, ho ricevuto le bozze di stampa. […] Ho capito quanta differenza avesse fatto Joan (cioè l’editor, NdV). Aveva reso brillanti le mie parole e il mio linguaggio. Ho riletto tutto quanto e ho beccato un paio di refusi che erano sfuggiti. Nello stesso momento, una correttrice di bozze (Louise Harnby) stava lavorando al libro. Anche lei ha corretto alcuni errori.
A questo punto il manoscritto era in gran forma, mancava solo la copertina. Quando ho incontrato le responsabili di marketing e pubblicità, mi hanno mostrato un’anteprima del design proposto dal grafico e me ne sono innamorata. Io non avevo dato alcuna indicazione, ma quella copertina si adattava magnificamente al libro. Insieme, copertina e titolo comunicavano subito che genere di romanzo fosse.
Quindi, che cosa ha fatto il mio editore per me? Oltre a sistemare i miei errori, ha dato al mio libro qualcosa che una delle mie amiche chiama “sceglibilità”. Non è una vera parola, ma dovrebbe. Ammettiamolo, io sono una scrittrice, una narratrice di storie, non un genio che sa fare tutto. Non avrei mai saputo creare una buona copertina. Non ero nemmeno riuscita a trovare un buon titolo! Ci ha pensato il mio editore e, aggiunta non da poco, ho lavorato sempre con persone gradevoli.
Per quelli di voi che si autopubblicano, non insisterò mai abbastanza su quanto la mia editor, la mia correttrice di bozze e il mio grafico abbiano fatto la differenza. In rete, su vari blog ci sono molti post di autori self secondo cui assoldare queste figure è un ottimo investimento del vostro denaro.
Cosa il mio editore ha fatto per me – parte seconda
Essere pubblicati da un editore tradizionale sembra un processo molto lungo a tanti dei miei amici che si autopubblicano. Ho firmato il contratto nel novembre 2014 e il mio libro vedrà la luce esattamente 12 mesi dopo. Il processo di editing che ho descritto è stato completato in gennaio. Essendo il mio primo libro, non sapevo cosa fa l’editore per far arrivare il libro nei negozi e nelle mani dei lettori.
Kate Doran, la Senior Marketing Manager di Little, Brown, mi ha spiegato il processo in questo modo:
- 9 mesi prima dell’uscita del libro, c’è una riunione redazionale per discutere posizionamento e strategia per il libro. A questo stadio, la copertina deve già essere stata decisa.
- 6 mesi prima, forniamo una brochure digitale al manager per ogni distributore e per i rappresentanti., Il manager della distribuzione si occupa di tutti i punti vendita, da Waterstones, WH Smith e Amazon ai supermercati. Il team dei rappresentanti si occupa di altre aree e fa visita ai singoli negozi per proporre il libro – Little, Brown è uno dei pochi editori che hanno ancora un folto gruppo di rappresentanti sul campo, il che può fare la differenza per supportare un libro partendo dal basso. A questo punto incontriamo l’autore per discutere le prime idee di marketing e pubblicità.
- 2 – 3 mesi prima, prendiamo le decisioni definitive. Non tutti i libri possono contare su una grande e costosa campagna promozionale, quindi siamo sempre alla ricerca di modi più creativi di promuovere il libro, lavorando gomito a gomito con l’autore.
Uno di questi modi creativi che Little, Brown usa – e vale la pena darci un’occhiata anche per gli autori self – è NetGalley, dove blogger, librai, recensori e (sempre più) acquirenti delle librerie possono scaricare la versione ebook del libro gratis, una volta che sono stati approvati. Nel mio caso, questo ha significato ottenere un certo numero di recensioni su Goodreads anche prima che il libro fosse pubblicato. Inoltre, 35 persone hanno detto di apprezzare la copertina. Chiaramente, avere un editore è un grande vantaggio, perché su NetGalley c’è già il suo pubblico (800 follower), il che ha dato visibilità immediata al mio romanzo.
Oltre a questo, Florence, responsabile della pubblicità, ha mandato delle ARC (Advance Review Copies – ovvero copie in anteprima per recensioni, NdV) a un gruppo di recensori, seguite da invii ancora più abbondanti una volta che ha avuto in mano la copia stampata. Questo circa cinque settimane prima dell’uscita del libro. Non sapremo se e quante recensioni otterremo finché non saremo molto vicine alla data di pubblicazione (incrociamo le dita).
[…] La presenza dell’editore in rete su Goodreads, Netgalley e Crime Vault (la loro newsletter sulle crime-stories) ha presentato il mio libro a un pubblico interessato, cosa che un autore self deve (e può!) fare da solo mediante blog, Twitter, Facebook e Goodreads. Ma poiché i budget per il marketing sono stati drasticamente ridotti, è comunque cruciale, anche per un autore pubblicato nel modo tradizionale, costruire un profilo ed essere presente in rete. Naturalmente il tempo è limitato, e se sto scrivendo un post sul blog vuol dire che non sto lavorando al prossimo romanzo. Ma essere parte di una discussione sull’editoria mi ha molto gratificata.
Ecco: di cose da fare, ce ne sono. Per inciso, Anja sostiene che la sua esperienza è stata ottima: l’editoria tradizionale non è un mostro feroce dal quale bisogna scappare a gambe levate, anzi può svolgere egregiamenter la sua funzione di supportare l’autore con ciò che esula del mero scrivere. Detto questo, se un editore (cioè un imprenditore) compie tutti quei passaggi, vuol dire che sono necessari, altrimenti non ci spenderebbe dei soldi.
Step successivo: se sono necessari per un editore (che ha già un brand, un catalogo, una rete distributiva, eccetera), sono ancora più necessari per te che vuoi fare self-publishing. Altrimenti non farlo nemmeno, lascia stare.
(A meno che l’unica ambizione di te, autore self, sia avere il tuo libro negli store online e venderne qualche copia ad amici e parenti – ma io qui sto sempre parlando non dell’orda di dilettanti bensì di autori con ambizioni professionali, il che non vuol necessariamente dire vendere tanto, ma vendere bene, questo sì.)
Nulla è gratis, tutto necessita di un investimento – infatti l’editore investe sui libri. Ma se uno vuole autopubblicarsi, oppure se ha un editore che gli sembra non faccia abbastanza, per come la vedo io ci sono due possibili valute.
Una è il denaro. L’altra il tempo.
Per esempio: se voglio avere un buon sito internet con il quale essere presente in rete e promuovere il mio lavoro, posso (A) investire denaro per pagare qualcuno che di mestiere costruisce siti e blog, oppure (B) investire tempo nello studiare web-grafica, esplorare le piattaforme più eleganti, funzionali e user-friendly, e costruirmi il mio sito/blog (WordPress per esempio fornisce una quantità di templates, molti dei quali gratuiti, con i quali si possono costruire piattaforme più che dignitose quando non eccellenti).
A volte non c’è possibilità di scelta. Prendiamo il caso di uno scrittore che ha un lavoro precario e spende tutto il suo modesto stipendio in affitto, bollette, cibo e vestiario. Gli rimane del denaro da investire? No. Gli rimane del tempo? Sì. Anche se fosse poco. Non ha altra opzione che investire quello.
In altri casi la situazione non è così tanto bianca o nera e ci sono margini di discussione. Spesso è questione di competenze: quelle che si hanno, quelle che si possono ottenere, quelle che non si possono ottenere se non impiegando una quantità di tempo superiore a quella che si ha a disposizione o che si è disposti a investire. Tornando all’esempio del sito internet, prendiamo un caso specifico: il mio. Ho quarantaquattro anni e una famiglia di cui prendermi cura. Non ho più né l’efficienza mentale né le energie per studiare seriamente argomenti complicati come web grafica e linguaggio html, a meno di non impiegare tre o quattro anni di studio matto e disperatissimo. Non – posso farmi da sola il genere di sito internet che vorrei. Ho però dei risparmi in banca e posso dunque scegliere fra due alternative: abbassare il livello di professionalità cui ambisco per il sito (quindi investire una quantità accettabile di tempo in vista di un risultato discreto) oppure affidare la costruzione del sito a dei professionisti (quindi investire una quantità accettabile di denaro – e naturalmente avrò fatto le mie considerazioni su cosa considero accettabile a seconda di vari parametri legati alla mia vita – in vista di un risultato ottimo). Ho scelto la seconda opzione. Circostanza collaterale che ha influito sulla mia scelta: una mia buona amica è titolare di Idexa, l’azienda di web-marketing che mi ha costruito il sito. Questo ha significato ottenere un buon prezzo (ma, attenzione, non un prezzo stracciato, che io per prima non avrei accettato perché il lavoro è lavoro, loro ne hanno fatto tanto ed è giusto pagarlo) e avere con loro un rapporto di assoluta fiducia. Le circostanze collaterali e personali giocano sempre un ruolo importante.
Tornando a monte: l’autore self deve prendersi cura di una serie di questioni, non si scappa. Al workshop romano di qualche settimana fa, giustamente Alessandra Bazardi faceva notare che, nel caso dei libri come di qualsiasi altro prodotto, ciò di cui si sta parlando sono le quattro benedette P del marketing. Lavorare sul prodotto, stabilire un prezzo, trovare il giusto posizionamento sul mercato, infine dedicare energie alla sua promozione.
Per oggi basta. Domenica prossima, ultima puntata con un excursus dettagliato sulle quattro P… e la partecipazione speciale di Keira Knightley.