Quale scrittura?
Quale scrittura? Me lo chiedo spesso. Leggo libri di ogni genere, epoca e stile, e mi domando a quale io mi senta più affine, o quale livello possa aspirare a raggiungere. Ma la questione è più antipatica di quanto sembri.
Di recente ho letto un romanzo intorno alle 400 pagine, un thrillerone di cui mi era stato detto che era me-ra-vi-glio-so, che era stato un super-mega-bestseller, una storia ad alta tensione capace di incollarti alle pagine. Leggendolo, non ho potuto impedirmi di riflettere sul tipo di scrittura a cui prima o poi vorrei arrivare (stimolata soprattutto dai risultati degli incontri di Matera, in particolare dai due che mi hanno fornito il grosso degli spunti); perché è vero che la storia aveva un mucchio di incastri e di colpi di scena ed è vero che me la sono letta tutta procedendo spedita, è stato un modo piacevole di trascorrere cinque ore di treno… eppure quel romanzo non l’ho trovato me-ra-vi-glio-so, no. Un po’ per la ricerca ossessiva dei colpi di scena, e alla quinta volta che vuoi girare le carte in tavola e stupirmi con effetti speciali, francamente il trucco diventa vecchio e mi annoia; ma ancora di più, la ricerca degli effetti speciali mi irrita in termini di stile, di stesura, di scrittura per l’appunto. La singola parola buttata lì, in una riga isolata, per fare effetto; la frasetta di spiegazione su emozioni che dovrebbero emergere da sole, grazie alle azioni e ai comportamenti dei protagonisti; l’avverbio superfluo messo per avere la certezza di essersi spiegati bene.
I testi la cui scrittura dovrebbe essere me-ra-vi-glio-sa non hanno bisogno di queste furberie per funzionare.
Me ne vengono in mente altri, anche peggiori: tipo, denunciatemi pure, quell’autrice che insiste a chiamare i suoi protagonisti con un nome simbolico a cui aggiungere una H così, ‘ndo cojo cojo, per renderli più fighi ed esotici (oltre a usare cover scontate con il rivoletto di sangue che scende dalle labbra del vampiro belloccio). Mi chiedo: perché non inventare qualcosa di nuovo e meno artificioso, una scrittura più fresca? Perché non sforzarsi di rendere i personaggi interessanti senza il bisogno di insistere per anni su questo giochino stantìo?
Insomma, credo non sia quella la scrittura che cerco: né come lettrice né come aspirante autrice. Ne cerco una diversa, che non è affatto detto (anzi) si posizioni su chissà quale inarrivabile registro, né raggiunga vette stilistiche da alta letteratura; ma almeno che abbia più fiducia nei suoi lettori e sia capace di rinunciare ai mezzi facili, al già collaudato.
“Eh, ma poi il pubblico si disamora”.
Parliamo dello stesso genere di pubblico che guai se un autore self sfora i sei mesi tra una pubblicazione e l’altra? Che guai se un’autrice abbandona un genere per dedicarsi a un altro? Che guai se non è tutto chiaro semplice lineare sempre uguale comprese le strategie di marketing incluso il giorno della settimana, ripeto il giorno della settimana, in cui esce il libro? (“eh perché il lettore vuole sapere che ha tempo per leggerselo prima del weekend, invece se ha la sensazione di non farcela rimanda l’acquisto e poi chissà se si ricorda o passa ad altro”: non – ci – voglio – credere).
Oh, io sarò anche snob; ma se per miracolo quel pubblico vuole me, sono io a non volere lui.