Il giorno che incontrai Riyoko Ikeda
Qualche giorno fa, sul sito dell’associazione Ewwa, è stato pubblicato un estratto di una mia vecchia intervista alla fumettista giapponese Riyoko Ikeda, autrice di Versailles No Bara e di altri manga uno più bello dell’altro.
Rileggere quelle righe è stata un’occasione per ricordare come arrivai (letteralmente!) alla stesura di quell’intervista. Correva la primavera del 2010. Mia figlia aveva appena compiuto un anno, durante il quale avevo condotto la classica vita della neo-mamma, fra allattamento, svezzamento e ricerca del giusto equilibrio tra famiglia e lavoro. Non mi ero mai mossa da casa per più di una giornata.
Arriva un fulmine a ciel sereno: mi dicono che Riyoko Ikeda sarà ospite a un festival culturale, Collisioni, che quell’anno si sarebbe svolto a Novello (provincia di Cuneo, in mezzo alle Langhe) i primi di giugno.
[Inciso: saprai cosa vuol dire, per un’esponente della Goldrake Generation, il nome di Lady Oscar e della sua creatrice. Significa una saga emozionante, personaggi indimenticabili, una pietra miliare della nostra educazione storica, visiva, sentimentale, erotica, intellettuale.]
Quindi: Riyoko Ikeda, in Italia. Per la prima volta. Mai successo prima. Mi parte l’embolo. Avviso mio marito che io – ci – vado – cascasse – il – mondo, smuovo mari e monti, prenoto il pernottamento, mi faccio accreditare come giornalista (a quel tempo non avevo ancora buttato alle ortiche la tessera e scrivevo per la rivista Fumo di China), già che ci sono combino un appuntamento a Genova con le titolari del service di traduzioni e adattamenti per cui lavoravo, mi armo di mappa e autoradio, e la mattina di venerdì 4 giugno parto per il Piemonte.
Percorro la A1 sotto un sole tiepido, assaporando l’inizio di un lungo weekend di libertà. Inebetita da cotanta gioia, appena superata Fiorenzuola sbaglio clamorosamente svincolo e mi infilo sulla A21 in direzione Cremona. Neanche il tempo di bestemmiare come si conviene e, mentre sono ancora sulla rampa di accesso alla A21, mi si accende una spia rossa sul cruscotto.
Uffa, di nuovo il radiatore. Ogni tanto perde acqua e mi costringe a rabboccarlo. Nulla di grave, conosco il mio pollo e ho sempre una scorta d’acqua nel bagagliaio, insieme a un grosso straccio per afferrare il tappo del radiatore e svitarlo senza rischiare l’ustione di quarto grado.
Guardo meglio. Non è la spia del radiatore.
È quell’altra spia rossa.
La spia rossa dell’olio.
Panico. Do una sterzata a destra manco dovessi buttarmi giù dal cavalcavia e in tre secondi netti inchiodo, parcheggiandomi sulla corsia d’emergenza. Spengo motore, fanali, autoradio, ancora un po’ e tiro pure via la pila dall’orologio. Valuto le opzioni e, qualche decina di metri avanti a me, scorgo – celestiale miraggio nel deserto – la colonnina gialla dell’SOS. Esco, mi precipito, premo il pulsante per la richiesta di aiuto, mi risponde un operatore gentilissimo, inizio a spiegare l’accaduto e chiedo se possono mandarmi un carro attrezzi, quando… cade la linea. “Pronto? Pronto???”
Niente. Richiamo. Stesso operatore. Ricomincio la conversazione, ricade la linea. Fa caldo, sudo, mi escono vapori radioattivi dalle orecchie. Richiamo. Appena il poveretto risponde, grido “MI SERVE UN CARRO ATTREZZI SUBITO!!!”. Lui, che per fortuna dal suo terminale vede da quale colonnina sto chiamando, mi prega di stare calma e garantisce che ne arriverà uno entro mezz’ora.
Attendo. ll carro attrezzi arriva, l’omino carica la macchina, poi carica anche me. Mi spiega che l’officina convenzionata con l’ACI più vicina è a Fidenza, quindi rispetto al mio itinerario dobbiamo tornare indietro di una ventina di chilometri. Pazienza, dico, cosa vuole che sia. Mi dice anche che arriveremo lì verso mezzogiorno, proprio quando l’officina chiude per la pausa pranzo, quindi guarderanno la mia auto appena riaprono, alle due. Conto fino a dieci e dico “va bene”. Infine mi dice che se sono rimasta senz’olio, come la chiazza che ha visto sotto l’auto lascia presumere, è certo che il motore abbia iniziato a fondere e quindi la macchina sia irrecuperabile – e se anche per qualche intercessione divina non fosse così, sicuramente ci sarà la coppa dell’olio danneggiata e impossibile da sostituire al volo. Conto fino a cento e inizio a mettere insieme le opzioni per proseguire il viaggio con qualsiasi mezzo, e nel contempo trovare un posto dove sbattere la macchina finché non riuscirò a farla riparare o mandarla in demolizione (quest’ultimo pensiero non contribuisce a migliorare il mio umore).
Verso le 12 arriviamo a destinazione, gli operai spariscono e vanno a mangiare. Io resto nel giardinetto dell’autofficina, tiro fuori il pranzo al sacco dalla macchina e mi metto a mangiare al sole, su una specie di sedia a sdraio, decidendo che non mi rovinerò il weekend. Piuttosto salgo su un carro bestiame, piuttosto mi imbarco su un regionale, piuttosto prendo un’auto a noleggio, piuttosto faccio l’autostop, piuttosto vado a piedi tipo pellegrinaggio di Santiago, ma io – arriverò – a – Novello – e – vedrò – Riyoko – Ikeda.
Ore 14, torna il padrone dell’officina. Scuote la testa e mi ripete varie volte, col tono di un premio Nobel intento a spiegare l’equazione di stato dei gas perfetti a una casalinga disperata e incapace di comprendere le “cose tecniche”, che bisognerà buttare l’auto perché senz’olio il motore fonde e diventa irrecuperabile. Poi carica l’auto sul ponte in modo da sollevarla e dare la conferma definitiva della diagnosi. Io continuo a pensare che saranno passati al massimo dieci secondi dal momento in cui ho visto accendersi la spia al momento in cui ho inchiodato sulla corsia d’emergenza. L’obiezione viene liquidata con un paternalistico “signora, i motori sono delicati”. Trasecolo. Posso aver fuso l’intero blocco motore in dieci secondi?!?
Lo lascio lavorare. Cinque minuti dopo, mi si presenta con aria stupefatta e, comunque, ancora saccente. Mi dice che è un miracolo, che ho avuto una fortuna inspiegabile (a dire il vero usa termini più coloriti) e spiega che mi ero persa per strada il tappo di scarico, “vede, signora, quello piccolo che sta sul fondo della coppa dell’olio” (sì, lo so che cos’è un tappo di scarico!!!). Morale: basta sostituire il tappino e mettere quattro o cinque chili di olio nuovo. Continua a ripetere che non ha mai visto nulla del genere, che non capisce come abbia fatto il motore a non fondere, che io devo avere qualche santo protettore in paradiso.
L’opzione che io non sono una cretina e quindi ho subito fermato la macchina appena la spia ha lampeggiato, senza dare al motore il tempo di fondere, pare non sia da considerare. L’espressione “lei è una donna e cosa vuole capirne” gli resta dipinta in faccia a prescindere. Medito vendetta, tremenda vendetta.
Più facile del previsto, in realtà. Quando mi fa il totale, chiedo la fattura. *evil grin* Riparto con il portafogli più leggero, ma la macchina tutta intera e la certezza che io – arriverò – a – Novello – e – vedrò – Riyoko – Ikeda.
Come poi è effettivamente stato. ^_^