Da Zvan a Shalimar
Sono tornata.
Vacanze? No. Ho semplicemente cambiato casa e quindi ho trascorso molti giorni dedicandomi a riempimento, trasporto e svuotamento di scatoloni, senza che avanzassero neppure cinque minuti per curare questo blog. Il fatto che nella casa nuova io sia ancora senza ADSL non aiuta (grazie tante madama Telecom, un nome una sicurezza), ma con una connessione domestica di fortuna e con l’aiuto di mia sorella, che spesso mi ospita a casa sua e mi cede il suo PC, diciamo che sono operativa. Ti chiedo scusa per l’assenza.
Inaspettatamente, il trasloco non è stato solo un’esperienza faticosa, ma anche appagante (quando le cose sono andate a posto), liberatoria (quando la pila dei sacchi da buttare è arrivata al soffitto) ed emozionante, come mi succede sempre quando incontro qualcuno che ricorda persone della mia famiglia d’origine, o luoghi in cui quella famiglia viveva.
In questo caso, il titolare dell’azienda di traslochi. Scambiando due chiacchiere con lui, ho scoperto che – per via del suo lavoro e della sua età – conosce più o meno tutti in città e ricorda anche esponenti di una o due generazioni precedenti la mia. «Aaah, ma quindi, signora, lei è la nipote della Teresa, la sarta, quella che chiamavano “la Cassetta”? Lei e la sua famiglia abitavano vicino a quelli del vivaio, ho capito! Stavano alla Pulvrèra!»
In queste occasioni mi viene un groppo allo stomaco, che non so se considerare piacevole. Non mi sono mai sentita legata alla città in cui vivo, forse perché ci sono finita in modo forzato dopo aver abitato altrove per diversi anni, e non intrattengo rapporti stretti con i miei parenti, che vedo solo ogni tanto (li frequentavo molto più spesso da bambina). Negli ultimi anni della sua vita, non andavo nemmeno troppo d’accordo con mio padre. Però sono affezionata ai racconti che ho sentito proprio da mio padre quando ero piccola, racconti sui tempi in cui lui era piccolo e c’erano campagne, mulini, braccianti, fiumiciattoli e bestie da soma. C’erano inverni gelidi con bambini che portavano a scuola la legna per un piccolo camino attorno a cui stavano ammassati, maestra compresa, e c’erano interminabili tragitti a piedi per raggiungerla, la scuola. Giocattoli costruiti con materiali di fortuna, carretti che perdevano le ruote alla prima buca, biciclette sempre bisognose di riparazioni. Ho sentito anche racconti dei tempi in cui mio padre era ragazzo e c’erano soldati, partigiani, armi e fame; c’erano pannocchie mature che scoppiavano e schizzavano granturco da tutte le parti quando colpite dalle pallottole di una pattuglia tedesca all’inseguimento di un renitente in fuga per i campi; c’erano preti di campagna che consolavano i parrocchiani e giravano casa per casa dall’alba al tramonto; c’erano urla di prigionieri torturati dai soldati degli schieramenti nemici; c’erano persone che incontravano amici o parenti dopo il grande bombardamento e non si salutavano con un “ciao” o un “buongiorno”, ma dicendo “che bello, siete vivi”.
Quel groppo allo stomaco mi ricorda che le origini ce le portiamo sempre dietro, anche se normalmente non ci facciamo caso, e sbucano nei momenti più inaspettati – scommetto che qualche volta è capitato anche a te. Quindi sì, io sono la nipote della Teresa, che tutti chiamavano Cassetta (perché custodiva i risparmi in una cassettina di legno), quella che per decenni fu la sarta più nota della zona. E sì, sono la figlia del suo primogenito, quello che dopo la guerra lasciò la provincia per cercare fortuna e carriera nelle grandi città. E sì, la famiglia di mia nonna abitava alla Pulvrèra, che in dialetto significa “polverosa”, una zona povera, quasi rurale, dove oggi invece sorgono palazzine, scuole e villette.
Tutti questi elementi, anche se camuffati, rivisti e modificati, sono seminati nel progetto The Silent Force e in alcuni dei suoi personaggi, quelli più umani e modesti, che costruiscono carretti a cui salta sempre una ruota e si alzano prima dell’alba per arare i campi con pesanti aratri tirati da buoi. Magari ti farà piacere riconoscerli.
Se poi vuoi sapere qualcosa in più su campagne, braccianti, fiumiciattoli, soldati, armi e partigiani, puoi andare nella pagina dei Racconti e scaricare (gratis, come sempre) “Il barco di Lucòn”. Mi farebbe davvero piacere se tu volessi leggerlo. È la prima storia in cui ho cercato di raccontare il senso di confusione e incertezza generato da una guerra, un altro tema che vorrei sviluppare in TSF. Quando il mondo intorno a te sembra non avere più senso, come fai a prendere le decisioni giuste?
Zvan, il protagonista di questo racconto, tutto sommato trova una strada che gli pare sensata; molti personaggi di TSF non avranno la stessa fortuna.