“Camminare” di Henry David Thoreau – Librini
Camminare, poco più di un pamphlet scritto da Henry David Thoreau, non è un libro che avrei mai pensato di leggere: il destino, però, me lo ha piazzato sotto il naso con la delicatezza di un cartello autostradale in mezzo al deserto.
Ero appena arrivata in biblioteca e mi stavo perdendo in una serie di elucubrazioni su Rudyard, il protagonista del romanzo steampunk che sto cercando di mettere a punto: un tizio che nasce nei dintorni di Londra in piena era positivista e industriale, ma si sente un outsider in questo contesto e lo rifiuta con tutto se stesso. Mi chiedevo: essendo Rudyard un tipo abbastanza istruito, gli saranno passate per le mani le opere di filosofi positivisti come Saint-Simon, Comte e più di tutti John Stuart Mill, visto che era britannico… ma saranno esistite correnti filosofiche che al Positivismo si opponevano? Rudyard potrà aver avuto altri punti di riferimento e/o di ispirazione, dal punto di vista culturale e teorico?
Mentre rimuginavo su questo argomento, ho dato un’occhiata allo scaffale su cui il personale della biblioteca espone periodicamente una selezione di volumi presi dagli archivi, una sorta di riproposta per potenziali lettori interessati. E voilà, in mezzo agli altri libri, sbuca questo “Camminare” di Thoreau, che sul momento ho notato più per la mole ridotta (cerco sempre testi stimolanti per la sezione “Librini” di questo blog) e per la copertina che riproduce un bel bosco verdeggiante. Sfoglio qualche pagina, e scopro che Thoreau è stato uno scrittore e filosofo americano, esponente del Trascendentalismo, vissuto in pieno Ottocento, che vagheggiava un rapporto intimo e primordiale con la natura, una fuga dagli obblighi della società.
Quindi non solo ho potuto fornire qualche “aggancio” filosofico e culturale al mio personaggio, ma ho anche potuto concedermi un assaggio della scrittura di questo filosofo (noto per opere più corpose come Disobbidienza civile e Walden) e trovarla interessante. Camminare è una piccola opera molto intima, c’è dentro il desiderio di crearsi una dimensione solitaria e personale, in cui lunghe camminate in mezzo ai boschi si trasformino nel ritrovare se stessi, la propria corporeità, la capacità di astrarsi dalle costruzioni umane e sociali più artificiose (un’ambizione che ricorda alla lontana la teoria del “buon selvaggio” di Rousseau). C’è una malinconia soffusa, certo lo stile è un po’ datato; eppure, in questo tempo in cui camminare e passeggiare sono considerati piccoli atti di liberazione, fa effetto leggere una piccola opera di due secoli fa che sosteneva esattamente la stessa cosa.