Scrivere o pubblicare, questo è il problema
Da qualche tempo, sui gruppi Facebook che seguo dedicati a lettura e scrittura, si parla del giusto prezzo da dare ai libri digitali auto pubblicati e di come il mercato self venga purtroppo influenzato al ribasso da pletore di libri messi in vendita a prezzi ridicoli (per esempio i famigerati 0,99 euro) o addirittura gratuiti. Concordo che sia un pessimo fenomeno: è vero che un libro digitale non risente di una serie di costi tipici del cartaceo, ma è pur sempre vero che è stato realizzato con fatica e sudore, il che dovrebbe riflettersi sull’attribuzione di un giusto prezzo. Prova ne sia il fatto che le versione digitali dei libri pubblicati da editori tradizionali e scritti da autori affermati (dei quali, cioè, si da per scontata una qualità accettabile) non costano MAI cifre ridicole ma viaggiano grosso modo fra i 3 e i 9 euro. Perché tu, lettore, paghi la qualità del libro in quanto tale, e non il supporto su cui lo leggi.
Molte autrici testimoniano che, quando i loro libri vengono messi in sconto o addirittura in offerta gratuita, vendono moltissime copie; per poi tornare a languire appena l’offerta scade. In compenso, la scarsa quantità di recensioni lasciate sugli shop online e di interazione con il pubblico dimostra che gli acquirenti dei libri in offerta spesso li comprano solo perché sono in offerta, e poi non li leggono.
La mia posizione è che, nel momento in cui avessi dei libri self in vendita su Amazon, Kobo, IBS eccetera, anzitutto li prezzerei seguendo uno o più di uno fra i metodi elencati in fondo a questo post; e, fatto ciò, credo che non li metterei mai, o quasi mai, in sconto o in offerta. Proprio per evitare che un mare di gente li scarichi e poi non li legga: se il mio lavoro ti interessa, lo paghi (anche perché stiamo comunque parlando di cifre più che abbordabili).
O meglio: li metterei in sconto o in offerta solo se avessi in mente un piano promozionale ben preciso, con dei tempi, degli obiettivi, dei termini di paragone
Il tutto si collega poi a un altro argomento molto dibattuto: se valga la pena di scrivere, in relazione a quello che con la scrittura si guadagna. Ovviamente, ad eccezione di pochi autori più bravi o più fortunati degli altri, la risposta è NO.
Ma questo c’entra qualcosa, con l’attività stessa della scrittura?
Non credo, o meglio credo che chiunque scriva debba chiarirsi le idee per benino: o scrivi perché ti piace (e se poi vendi anche bene, sono felice per te), o scrivi perché vuoi guadagnare, e in quest’ultimo caso tanto vale che cambi mestiere o che ti metta a scrivere i generi che vanno per la maggiore – possibilmente scegliendo romanzi brevi e/o novelle, in modo da sfornarne tre o quattro all’anno e ricevere bonifici in continuazione. Se hai la fortuna sfacciata di amare un genere popolare, e quindi di guadagnare soldi (ammesso che tu sia bravo/a) con quello che ti piace, bene. Ma sono stufa di sentire confondere la passione per la scrittura con la passione per il guadagno.
Per quel che mi riguarda in senso stretto, ho le idee abbastanza chiare su come voglio procedere con le storie che sto scrivendo: in alcuni casi mi piacerebbe che trovassero un editore, in altri (quelli che hanno per me un valore troppo personale e mal si adatterebbero a compromessi) preferirei affidarmi a un self-publishing fatto bene, subordinato cioè al giusto investimento in termini di editing, grafica, ecc.
Nell’uno come nell’altro caso, si tratta di ragionamenti basati su un discorso di qualità e di offerta al pubblico, più che di incassi e denaro. Sto scrivendo certe storie perché mi danno qualcosa (a volte un divertimento, a volte uno sfogo, a volte la collaborazione con un’amica, a volte una sfida linguistica) e perché spero che piacciano. Guadagnarci? A chi non piacerebbe. E il fatto che un pubblico sia disposto a spendere soldi per leggerti, è un corposo indizio del tuo gradimento presso quel pubblico. Però mi impongo che non sia quella la molla, che prima venga qualsiasi altra cosa ma non quella. Per esempio: so benissimo che Miracolo (vedi questo post se non sai cosa sia) non è un prodotto destinato a diventare campione d’incassi. E questo sarebbe un motivo sufficiente per smettere di scriverlo? O per chiuderlo a vita in un cassetto e non consegnarlo almeno alle poche persone che potrebbero amarlo?
Capirei se lo avessi iniziato dietro a un impulso che poi ha esaurito la sua spinta. Capirei se andando avanti mi fosse venuto a noia. Ecco, in quel caso avrebbe senso lasciarlo perdere. Ma se ce l’ho dentro, se la storia dei suoi personaggi mi dà qualcosa, se la sua ambientazione continua a entusiasmarmi (nonostante comporti una bella fatica, per via della mole di studio e documentazione), ci mancherebbe altro che non lo portassi a termine. Insomma l’argomento soldi mi interessa non dal punto di vista dei guadagni, ma da quello di una giusta retribuzione per uno sforzo che è stato compiuto e un prodotto che è stato realizzato. Col che si ritorna al primo argomento di questo post.