Joker e Il Re Leone – Fantasy
Joker e Il Re Leone (intendo il remake in computer grafica, ovviamente) sono due film che ho visto a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, e che qui ho cumulato sotto l’etichetta “Fantasy” in maniera un po’ approssimativa ma spero comprensibile: Joker fa riferimento al celeberrimo supercattivo di Batman (e i mondi narrativi dei supereroi sono considerati “fantasy” un po’ ovunque), mentre gli universi di tanti film d’animazione Disney (tra animali parlanti e manifestazioni magiche e/o sovrannaturali varie) hanno più di un’attinenza con il fantastico.
Continuo a pensare a questi due film e a trovarli complementari, nella loro smaccata diversità. Mi pare che entrambi raccontino storie in cui l’individualismo esasperato porta alla distruzione, mentre la presa di coscienza di chi si è, e di come usare le proprie potenzialità nel modo giusto, porta alla prosperità: di se stessi e degli altri. La cattiveria di Scar consiste nella sua incapacità di rendersi conto che, anche per il suo stesso bene, le regole della Savana vanno appoggiate e non sfidate; e la bontà di Joker consiste nei suoi disperati tentativi di comportarsi bene, di essere un individuo gentile e ben intenzionato, anche quando il mondo continua a prenderlo a pesci in faccia.
Ora, sarò franca: in linea generale io credo più nell’individuo, che nella società (forse perché ho avuto sotto il naso diversi esempi di società mediocri e di individui fuori dal comune). O meglio, credo nella società solo nella misura in cui (A) arrivi dove l’individuo non ce la fa da solo (e non per generosità disinteressata, quella non esiste o ne esiste troppo poca, ma per la consapevolezza che ciascuno di noi è destinato a essere, prima o poi, quello che non ce la fa da solo), oppure (B) esista in termini numerici modesti: nuclei familiari o poco più. Considerato che già nei condomini si annidano cattiverie e ostilità degne della Guerra dei Roses, l’idea di società come organismo numeroso, all’interno della quale possano emergere grandi valori, mi rende abbastanza scettica (sebbene possano capitare casi eccezionali, di quando in quando). Mi riconosco meglio in una citazione di Margaret Thatcher, che punta alla responsabilità individuale anche per correggere gli eccessi dell’individualismo. Ovvero: “Non esiste una cosa come la società. La vita è un arazzo di uomini e donne, la gente e la bellezza di questo arazzo e la qualità della nostra vita dipendono da quanta responsabilità ognuno di noi è disposto ad assumersi su noi stessi e quanto ognuno di noi è pronto a voltarsi e aiutare con i nostri sforzi coloro che sono sfortunati.”
Ecco: la parabola di Joker, per me, mostra proprio la mancanza di responsabilità individuale. Quella di Thomas Wayne, che snobba la sua ex-dipendente, pur essendo a conoscenza delle sue difficoltà; quella del collega di Arthur che gli piazza in mano la pistola, pur sapendo di avere a che fare con una persona instabile, e che poi vuole far ricadere su di lui ogni colpa; quella del presentatore Franklin, che mette il suo desiderio di ridere alle spalle di un poveraccio davanti all’umana pietà che quel poveraccio avrebbe dovuto suscitargli; quella dei teppisti che aggrediscono Arthur così, tanto per provare il brivido della trasgressione e per sentirsi forti; e si potrebbe andare avanti. L’unico momento in cui la “società” rimane completamente senza un volto è quando l’amministrazione comunale taglia i fondi ai servizi sociali, peggiorando la situazione di Arthur. Dove tanti vedono il suo calvario come un risultato della “società cattiva”, io vedo, personaggio dopo personaggio, le mancanze di ogni singolo membro di quella società, di ogni individuo.
Tranne forse Gary, il collega di Arthur affetto da nanismo: ma Gary è, al pari di Arthur, un reietto e un emarginato, senza grandi mezzi sociali né economici. Non è una persona che possa fare la differenza, o almeno non in quel contesto generale e personale. Se nella vita di Arthur ci fosse stato anche un solo Mufasa, una sola Sarabi, una sola Nala, un solo Zazu, perfino un solo Pumbaa o un solo Timon, che di regole sociali non vogliono nemmeno sentir parlare, eppure hanno un senso di responsabilità individuale superiore a quello di tutte le iene messe insieme (e pensare che le iene sarebbero un branco), ecco, forse Arthur si sarebbe salvato.