Intervista ad Alessia Savi – Dentro il Racconto 2
Questo è il secondo appuntamento con la mia rubrica Dentro il racconto, che ho definito “una serie di interviste a persone che si dedicano alla scrittura e alla riflessione sulla scrittura stessa”, con particolare attenzione alla narrazione breve.
Anche stavolta tocca a un’autrice con cui sono venuta in contatto grazie a a Buck e il Terremoto (volume collettivo di cui ho parlato in questo post) e cioè Alessia Savi. Come nel caso di Gaspare Burgio, però, non era la prima volta che incrociavo questo nome in rete: mi era bastato gironzolare tra forum, gruppi e siti che si occupano di scrittura in generale e di autori indie in particolare. Alessia è una di quelle persone che in questo ambito hanno chiaramente studiato la lezione del mondo anglosassone e stanno cercando di adattarla all’humus italiano.
Appuntamento con la paura – venerdì 17 è una raccolta di brevi racconti horror; Fiori d’acciaio è una novella a puntate; sul tuo sito sono disponibili delle storie brevi. La sensazione è che, per un certo periodo di tempo, tu abbia vissuto la dimensione dei racconti. Ora, però, è arrivato anche il romanzo. Come ti sei mossa fra gli uni e l’altro? È stato un percorso scelto razionalmente o capitato così, lasciando andare la penna?
In verità la mia dimensione è il romanzo lungo. Sono una logorroica, mi complico la vita e mi piace mischiare generi differenti e avere tanta, tanta documentazione alle spalle. Probabilmente sono una ricercatrice o un’archeologa mancata. A parte gli scherzi, sviluppo sempre trame complesse e mi piace gestire differenti punti di vista. Per forza di cose, il romanzo lungo è una scelta quasi obbligata. Appuntamento con la paura, Fiori d’acciaio e i racconti pubblicati sul sito sono in verità i miei esperimenti di scrittura per tenermi in allenamento durante il periodo di gestazione di Verso le Luci del Nord, il mio primo romanzo. Ci sono voluti tre anni di ricerche, studio, stesura ed editing: non potevo permettermi di restare inattiva sul fronte narrativo. Anche se scrivere post sul mio blog è sempre meglio che non scrivere affatto.
Perché l’horror? E perché “gente che muore male o ha grosse difficoltà con la vita”?
L’horror è una dimensione in cui mi trovo a mio agio. Nel paranormale, nel folklore, in ogni leggenda c’è un pizzico di verità: mi piace trovare gli incastri per fonderli in contesti ordinari e dare vita a storie realistiche. L’horror mi permette di sondare a fondo l’animo umano. La vita è una scala di grigi: in contesti estremizzati, come l’horror, le paure e i timori diventano allegorie e si finisce con il vedere l’uomo per ciò che è. Stephen King è un maestro in questo, basti pensare a romanzi come Cose preziose oppure La tempesta del secolo: costruisce piccole comunità in cui l’elemento soprannaturale spazza via la patina dorata e fa emergere spesso il daimon di ognuno dei suoi protagonisti. La bellezza dell’horror risiede in questo: nel mostrare la natura istintiva e istintuale dell’uomo. E poi sono un’utopista: mi piace illudermi ci possa essere qualcosa di ben peggiore della realtà in cui viviamo anche se, spesso, vengo purtroppo smentita.
La tagline che hai trovato sul mio sito, “gente che muore male o ha grosse difficoltà con la vita”, è un monito per me e per chiunque si avvicini ai miei scritti. Come autrice devo ricordarmi di scrivere di vita, di cose che conosco ed emozioni vere, non di carta. Sembra assurdo, ma ciò che deriva da questa frase è che le storie devono essere amorali, proprio come l’esistenza. Il monito per il lettore è semplice: sono un’amante del dramma e detesto l’happy ending a ogni costo; i miei personaggi non hanno mai una vita semplice e sono tendenzialmente emo, con grandi, enormi problemi esistenziali derivati dall’ambiente in cui si muovono o da loro stessi. I protagonisti di Verso le Luci del Nord combattono demoni, stregoni voodoo e compiono esorcismi con naturalezza per poi avere forti crisi con la propria fede e nelle relazioni interpersonali. Chi non ha mai avuto un crollo di questo genere?
Nel racconto “Verbofobia”, che fa parte della tua raccolta horror, si parla del peso inaffrontabile del Non-Detto, che sembra essere l’unico Vero. Anche in “Nel silenzio, Mila vive” (il tuo contributo a Buck e il Terremoto) si sente la ricerca dell’Autentico con la A maiuscola. In questo caso, con esito positivo.
Si, ora che mi ci fai pensare sembrano le due facce della medesima medaglia. “Verbofobia” è l’orrore delle parole che affollano la mente, di tutto quell’istinto represso, del fare buon viso a cattivo gioco, della menzogna, dei sentimenti soffocati e repressi. Raffigura la gabbia del perbenismo e del quieto vivere. Con Mila, invece, ho lasciato andare il cappio lungo le Dolomiti. C’è un percorso di crescita anche mio, all’interno di queste due storie: nella seconda, la ricerca dell’Autentico risiede nelle piccole cose di ogni giorno, che troppo spesso trascuriamo alla ricerca dell’eccezionale. D’altra parte, come direbbe Mila, “La sua prigione è stata creata dagli umani, un nodo fatto di spine e metallo gelido.” Non è solo una condizione fisica, ma anche metaforica e spirituale. Sono convinta che abbiamo il potere di cambiare le cose, di lottare sempre per migliorare lo stato in cui siamo e viviamo. E anche un po’ il mondo, dai.
Torniamo al tuo romanzo Verso le luci del Nord, uscito da poco. Intravedo in esso tracce di misticismo, soprannaturale, paranormal, anche una spruzzata di adventure on the road. Sotto la superficie, però, quali sono i temi che hai voluto affrontare? Cosa vorresti che arrivasse a chi ti legge?
Credo che sia un grandissimo viaggio alla ricerca di sé stessi. In primo luogo c’è la costante della Fede: ognuno dei protagonisti del romanzo appartiene a un credo differente, nonostante le basi della vicenda affondino nello gnosticismo. Il cattolicesimo vecchio regime, quello in un puritanesimo di ritorno, si scontra con l’ateismo forzato di chi crede solo a ciò vede. In un mondo in cui Dio sembra aver voltato le spalle ai pochi sopravvissuti, la Fede, la Determinazione e la Speranza sono ciò che tiene in vita gli uomini. Credo che Verso le Luci del Nord abbia diversi livelli di lettura, chiavi che ognuno può trovare per aprire porte sempre differenti. Come dicevo prima, non amo le storie con una morale: ciò che si trova in Verso le Luci del Nord sono i grandi dilemmi dell’esistenza affrontati in un mondo portato all’estremizzazione. Ho scoperto che i lettori, spesso, vedono molto più di ciò che tu hai voluto trasmettere. E questo è bellissimo, perché ti fa capire che ciò che hai creato è universale e trasversale e tocca corde differenti a seconda di chi legge. Nessun messaggio cifrato è stato inserito nel romanzo: avevo solo voglia di scrivere una bella storia e spero di esserci riuscita.
Questa è la domanda che tutti i miei ospiti di “Dentro il racconto” hanno l’onore e l’onere di sentirsi rivolgere. Ti fornisco dieci writing prompt menzionati in “Calliope”, un episodio del Sandman di Neil Gaiman. Se tu dovessi sceglierne uno da cui partire per un nuovo racconto, quale sceglieresti e perché? In quale direzione narrativa andresti?
1 – Una città dalle strade lastricate di tempo.
2 – Un treno carico di donne mute, che solca il tramonto per l’eternità.
3 – Teste di luce. Un pezzo di cartoncino azzurro. Una prugna, dolce, aspra e fredda. Un pesciolino mannaro che si trasforma in lupo al cospetto della luna piena.
4 – Due donne anziane che portano in vacanza una donnola.
5 – I grifoni non dovrebbero sposarsi. I vampiri non ballano.
6 – Un uomo che eredita una tessera della Biblioteca di Alessandria.
7 – Una pianta di rosa, un usignolo e un collare da cane di gomma nera.
8 – Un uomo che perde la testa per una bambola di carta.
9 – Il sole al tramonto sul Partenone, zuppa di denti di pescecane.
10 – Un vecchio che possiede l’universo e lo conserva in un barattolo di marmellata, nella credenza impolverata del sottoscala.
Non vale: io adoro Sandman! “I grifoni non dovrebbero sposarsi. I vampiri non ballano” è stata la mia scelta istintuale. Poi, invece, ho deciso di prendermi in carico “Un treno carico di donne mute, che solca il tramonto per l’eternità”.
È un treno antico quanto il destino, quello delle Oniriadi. Attraversa la costellazione più a sud della Cintura di Orione, dislocata tra quest’ultima e Nebula Butterfly e compie sempre lo stesso tragitto, una rotta predestinata che tocca tutti i pianeti del sistema solare inseguendo il tramonto. Le Oniriadi hanno occhi grandi, in cui il cielo si riflette in una pioggia di stelle cadenti. La pelle raggrinzita delle più anziane sembra dura e ricoperta di crateri come la superficie lunare, mentre le più giovani hanno un incarnato traslucido e levigato, trasparente come quarzo. Alle Oniriadi è stato strappato il verbo, gelosamente custodito nelle Ampolle di Morfeo e dalle loro labbra il filamento dei sogni viene estratto e cardato. Il treno sfreccia a gran velocità, oltrepassa gli anni luce e cavalca i tramonti dell’universo. Tesse i sogni dei marziani, dei plutoniani, dei venusiani, dei terrestri e li getta in pasto alla sera, pronti a essere vissuti e in cerca di un proprietario. Su Nebula Butterlfy, però, la rivolta degli schiavi umani ha interrotto le vie di comunicazione e le Oniriadi, ora, hanno diciassette ore di tempo per fare ritorno a casa. Se dovesse inghiottirle il buio, l’intera galassia collasserebbe su sé stessa, imprigionata in una ragnatela di sogni disposti a tutto per inghiottire la realtà.
Che dici? Può essere una bella storia?
Scrivila, o ti farò sperimentare esperienze horror che, credimi, non hai nessuna voglia di conoscere.
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Biografia essenziale di Alessia Savi.
Figlia degli Anni Ottanta, di una generazione cresciuta a pane, marmellata e cartoni giapponesi, è una giornalista mancata e ha ripiegato imbrattando di opinioni il suo blog personale. Appassionata di genere fantastico e horror, odia il fantasy classico e odia in modo viscerale le contaminazioni di genere. Vive a Parma con due gatti ed esercita la sua attività di Prosivendola in uno studio in blu.
Online: www.alessiasavi.com